225
L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM:
UN PRIMO APPROCCIO
Non è facile affrontare lo studio dell’instrumentum del territorio corrispondente all’antico municipium di Tuficum, non tanto per
l’eterogeneità del materiale che comunemente va sotto questa
denominazione quanto piuttosto per la mancanza di una raccolta
corposa e sistematica, pubblica o privata, che possa consentire la
visione e l’autopsia del materiale e restituire un quadro, anche se
incompleto e sommario, di questi reperti e di tutti gli aspetti ad essi
legati.
Le maggiori collezioni con pezzi provenienti da Tuficum raccolgono infatti soprattutto materiale “monumentale”, cioè testimonianze scultoree, architettoniche ed epigrafiche dell’antico centro. I
meno appariscenti e più fragili materiali laterizi, vitrei, così come
quelli metallici sono scarsamente testimoniati e costituiscono, dunque, allo stato attuale, un patrimonio di non facile valutazione
limitato a pochi pezzi che difficilmente possono illustrare in modo
determinante i diversi aspetti dei più vari ambiti della vita di un
abitato con una storia lunga e significativa come quella di Tuficum.
I materiali più rappresentativi dell’instrumentum tuficano sono
costituiti attualmente dalle tegole bollate.
Il territorio dell’antico municipio ha restituito, come si
desume dagli appunti di Don Raffaele Ambrosini, dalla pubblicazione di Romualdo Sassi e dalla ricognizione di Eugen Bormann per la redazione del Corpus Inscriptionum Latinarum XI,
almeno sette diversi marchi di fabbrica: C(ai) Caes(i) Veri1;
Honorati2, Sertorius3, M. Obici sive Obico4, M(arci) Naevidi5,
1
Vedi infra [p. 228, nota] pp. 226 ss.
Vedi infra [p. 229, nota] pp. 229 ss.
3
Vedi infra [p. 230, nota] pp. 230 ss.
4
Il pezzo un tempo era collocato, insieme ad altro materiale archeologico nel
portico della chiesa di San Venanzo ad Albacina, vd. CIL XI, 6689, 167; AMBROSINI 1876,
p. 40; SASSI 1938, p. 69, nr. 67; INNOCENZI 2004, p. 241 e p. 243; AE 2004, 535;
PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 270.
5
Il pezzo si conservava nella casa Baldoni nel vocabolo Trocchetti di Albacina, vd.
2
226
GIULIA BARATTA
M(arci) Oppi Satr()6 e Primitivi7. Purtroppo, allo stato attuale, è
stato possibile rintracciare soltanto alcune tegole con i primi due
bolli, mentre i pezzi con gli altri marchi di fabbrica non risultano
oggi più localizzabili. La perdita e la dispersione di buona parte del
patrimonio laterizio bollato rinvenuto a Tuficum risulta già evidente
nel XIX secolo. Infatti Camillo Ramelli8 nel 1840 annota in un suo
manoscritto: “Nell’antico Tufico molte embrici, o tegole si trovarono in più luoghi, a varie epoche, e con diverse epigrafi; ma
l’ignoranza tutte le disperse. Un mattone però esiste tuttora”.
Da una nota manoscritta di R. Ambrosini, accuratamente
pubblicata da L. Innocenzi, si apprende che il 2 giugno 1845 il
parroco della chiesa di S. Venanzo ad Albacina fece murare nella
“loggia di questa chiesa parrocchiale” oltre ad una tegola con il
bollo C. CAE. VER9 anche una con il marchio HONORATI e
successivamente, nel 1856, vi fece collocare una terza tegola con
un marchio “logoro” M. OBICIO.
La tegola che presenta il maggior numero di attestazioni è
proprio quella con il bollo C. CAE. VERI, alcuni esemplari della
quale sono repertoriati nel CIL XI al numero 6689, 52 ed erano già
stati segnalati da C. Ramelli10. Il CIL oltre all’esemplare perduto un
tempo murato nella chiesa di S. Venanzo11, fa riferimento ad uno
Fabriani in aedibus Ramelli12 e ad uno conservato ad Albacina
CIL XI, 6689, 163; RAMELLI 1848, nr. 36; SASSI 1938, p. 68, nr. 64; PETRACCIA-TRAMUNTO
2011, p. 270.
6
La tegola si trovava un tempo presso il canonico Zampetti a Fabriano e risulta
attualmente dispersa, vd. CIL XI 6689, 170ª; RAMELLI 1848, p. 31, nr. 38; SASSI 1938, p.
69, nr. 68; PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 270. Probabilmente la lettura tramandata del
bollo non è corretta e si deve intendere M. OPPI SATVRNINI, vd. CIL IX, 6078, 124.
7
La tegola secondo R. Sassi era conservata presso il canonico Zampetti a Fabriano,
vd. CIL XI, 6689, 6689, 194; RAMELLI ms. 1840 che documenta una tegola o embrice con
questo bollo rinvenuta nel fondo del fratello Luigi sito presso Torre Cecchino RAMELLI
1848, nr. 37; SASSI 1938, p. 69 nr. 71.
8
RAMELLI ms 1840.
9
Vedi infra note 10 ss.
10
RAMELLI 1848, nr. 33.
11
Vedi CIL XI, 6689, 52 a; INNOCENZI 2004, pp. 214-249; SASSI 1938, p. 68, LXV
e AE 2004, 535
12
Vedi CIL XI, 6689, 52 a; SASSI 1938, pp. 68-69, nr. LXV; PETRACCIA 2006c; AE
2006, 243; PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 270.
L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO
227
nella villa Serafini, ora Censi Mancia13, e che, verosimilmente,
corrisponde a quello oggi inserito nella collezione affissa alla
parete della casa colonica della nobile dimora (fig. 1). Due altri
esemplari, invece, sono stati ritrovati a Matelica14 ed uno, più di
recente, nel settembre 2001, in un terreno lungo la statale Clementina presso Borgo Tufico in località Case Lunghe15.
Fig. 1
Nella collezione archeologica di Villa Censi Mancia oltre alla
tegola segnalata in CIL XI ne esiste anche un’altra (fig. 2a-b) della
quale si disconosce il luogo e la data di rinvenimento e che
potrebbe anche coincidere con quella una volta murata nella vicina
chiesa di S. Venanzo e che oggi si ritiene perduta, o, come invece
appare più probabile, essere un differente e dunque ulteriore esemplare della stessa serie. Entrambe le tegole della collezione Censi
Mancia sono realizzate con un impasto color arancio a grana fine
con pochi inclusi bianchi. L’esemplare conservato nella raccolta
affissa al muro della casa colonica (fig. 1), privo solo di porzioni
13
Vedi CIL XI, 6689, 52 b e p. 1402.
Vedi la tesi di laurea di C. MORI a.a. 2002-2003, Università di Macerata.
15
BRANCHESI 2003, pp. 271-274. L’autrice segnala a p. 272 che dal territorio del
municipio di Tuficum provengono altre due tegole di questa serie senza che sia possibile
dedurre con certezza se si riferisca ad esemplari già noti o a materiale inedito da
aggiungere dunque alla lista.
14
228
GIULIA BARATTA
del bordo misura 45x60x4 cm. (7 con bordo)16 mentre l’altro (fig.
2a), collocato nel 2011, al momento dell’autopsia, all’interno della
villa, risulta privo delle due estremità e misura 45x35x4 cm. (7 cm.
con i bordi). Entrambe le tegole sono bollate con il marchio C.
CAE. VERI, per il quale si propone lo scioglimento C(ai) Cae(si)
Veri17, di forma semicircolare con orbicolo inserito (Ø7,5 cm.) e
testo (h. lettere 1,5-1,7 cm.) disposto su una sola linea caratterizzato da lettere a nastro con apicature, I longa montante, come
giustamente notato da E. Bormann18, e segni di interpunzione
triangolari, preceduto e seguito da una palmetta.
Fig. 2a
Fig. 2b
Il gentilizio Caesius19 ricorre spesso nel territorio tuficano20,
tanto che il frequente rinvenimento di queste tegole nella stessa
area corrispondente all’antico municipio costituisce un importante
indizio che consente di ipotizzare la presenza di una figlina legata
a questa importante gens proprio a Tuficum. La sua produzione, che
16
Vedi GAMURRINI 1893, pp. 134-137, part. 137.
Ver( ), CIL XI; Ver(ecundus), SASSI 1938; Ver(us?-ecundus?), PETRACCIA 2006: la
CERVETTI non riconosce il nesso VE ed RI.
18
CIL XI, p. 1402.
19
Per le attestazioni epigrafiche di questa gens sia nel municipium di Tuficum che
fuori vedi il contributo di Marc Mayer i Olivé in questa stessa sede oltre a CATANI 1981,
pp. 126-128 e pp. 131-132; CENERINI 1985, pp. 203-232, MARENGO 1994, pp. 20 e 22;
ANDERMAHR 1998, pp. 196-197.
20
In una iscrizione di Beyobasi è nominato un personaggio, che non coincide con
il nostro, ma che presenta lo stesso gentilizio e lo stesso cognomen ma un diverso
praenomen e una differente tribù: M(arcus) Caesius M(arci) f(ilius) Pol(lia tribu) Verus,
vedi MITFORD 1988, p. 39-42 e AE 1990, 896.
17
L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO
229
sulla base delle caratteristiche del bollo, della paleografia e per
l’appartenenza del produttore alla gens Caesia, va inquadrata nel II
secolo d.C., sembra coprisse non solo il fabbisogno locale ma
anche quello dei municipia circostanti, come dimostrano le due
tegole ritrovate a Matelica.
Due o forse tre attestazioni conta, invece, la tegola con il bollo
HONORATI. Sono infatti noti l’esemplare un tempo affisso nella
chiesa di S. Venanzo ad Albacina, ed oggi perduto21, una tegola
usata in una tomba a cappuccina rinvenuta nel 184322, che potrebbe,
ma non è detto che sia così, coincidere con la tegola perduta, ed un
ulteriore esemplare che si conserva nella collezione archeologica di
Palazzo Raccamadoro-Ramelli a Fabriano (fig. 3a-b)23. Quest’ultima tegola, di impasto rosso-arancio a grana fine con pochi inclusi,
è frammentaria e misura allo stato attuale 42x36 cm. Il bollo
HONORATI è inserito in un cartiglio rettangolare con angoli
smussati (8,2x2 cm.)24. Il testo disposto su una sola linea è in
rilievo e presenta una N retrograda ed una I montante sull’ultima
lettera cui fa seguito un segno decorativo (h. lettere 1,5 cm.).
L’onomastica non consente alcun aggancio certo con il municipio
di Tuficum, dove Honoratus non trova sino ad ora altre attestazioni
che possano indurre a ritenere che anche in questo caso si tratti di
un prodotto di una figlina locale. Per la forma del bollo il pezzo
può essere inquadrato cronologicamente tra il I secolo a.C. e il I
secolo d.C.
21
CIL XI, 6689, 122a; RAMELLI 1848, nr. 35; AMBROSINI 1876, p. 40 secondo il quale
la tegola proverrebbe da una fossa di calce spenta in località Moregine; SASSI 1938, p. 69,
nr. LXVI; INNOCENZI 2004, p. 241 e p. 243; AE 2004, 535.
22
RAMELLI 1848, p. 21 che la data al VI secolo d.C.; VENANZONI 2005, p. 44, nota 55.
23
PETRACCIA 2006; AE 2006, 243; PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 270. Come si
deduce dal titolo dato alla scheda C. Cervetti identifica questo esemplare con quello fatto
collocare da R. Ambrosini nel muro della chiesa di S. Venanzo poi pubblicato da E.
Bormann in CIL XI, 6689, 122 a. In realtà, come aveva già notato L. Innocenzi, vedi
INNOCENZI 2004, p. 243 e nota 14, nello studio dedicato alle annotazioni di R. Ambrosini,
si tratta di due distinti esemplari con lo stesso bollo.
24
HONORATV, SASSI 1938; HONORATI VI, INNOCENZI 2004; Honoratv[, VENANZONI 2005; Honoratus, CERVETTI 2006.
230
GIULIA BARATTA
Un terzo pezzo ritenuto da R. Sassi una tegola proveniente
dall’area corrispondente all’antico municipio di Tuficum ed oggi
conservato a Fabriano nella collezione archeologica di palazzo
Raccamadoro Ramelli (fig. 4)25, sembra piuttosto essere un frammento di dolium. La natura dell’impasto, infatti, ed il profilo bombato del frammento di terracotta
Fig. 3b
(31x17 cm.) non sembrano compatibili con una tegola quanto piuttosto
Fig. 3a
con un contenitore per le derrate.
Il pezzo si caratterizza per la presenza del bollo SERTORIVS
(h. lettere 2,5-2,2 cm.) che corre in rilievo, distribuito su una sola
linea, all’interno di un cartiglio rettangolare (14x3 cm.) e che su
base paleografica, in particolare per la forma della O e della R, può
essere inquadrato al I secolo a.C.26.
Tra il materiale laterizio destinato all’edilizia nella collezione
di Villa Censi Mancia ad Albacina si segnalano, inoltre, mattoni
circolari per la realizzazioni di suspensurae (fig. 5), tegole con
ditate (fig. 6) e tegole mammate (fig. 7). Altro materiale edile, tra
cui mattoncini circolari, è stato localizzato a Borgo Tufico, in
25
CIL XI, 6689, 227; SASSI 1938, p. 69, nr. 49 (errore per 69); PETRACCIA 2006: la
CERVETTI attribuisce il reperto genericamente al territorio fabrianese; AE 2006, 243;
PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 270.
26
Una tegola del veronese reca un bollo con lo stesso nome: CIL V, 8110, 334.
L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO
231
Fig. 4
località Case Bisci27, ad Albacina, in località Case Lunghe28, ove
appaiono delle tegole, e a Cerreto d’Esi in località casale Vallemoro
e Monterustico29.
Fig. 5
27
28
29
VENANZONI 2004, p. 291 e VENANZONI 2005, p. 46.
VENANZONI 2005, p. 46.
VENANZONI 2005, pp. 39-40.
232
Fig. 6
GIULIA BARATTA
Fig. 7
Tra i reperti della collezione Censi Mancia spicca un’antefissa
con gorgone. Il pezzo (fig. 8) (H. 20 cm.; larg. 25 cm.) di impasto
a grana estremamente fine e colore tendente all’arancio chiaro, è
mancante della parte superiore e della struttura posteriore e presenta diverse scheggiature sulla superficie. L’antefissa è delimitata
nella parte inferiore da una fascia liscia seguita da un listello
sporgente sul quale corre un secondo listello di minore larghezza
che funge da base di appoggio ad un volto di Gorgone largo, piatto
e sorridente. Il naso e le arcate sopraccigliari sono fortemente
marcati così come le palpebre superiori e i bulbi oculari. Dai lati
delle orecchie pendono due vistosi orecchini. Della capigliatura,
perduta nella parte superiore, rimangono apparentemente alcune
ciocche serpentiformi avvolte a spirale alla loro estremità che, in
alternativa, potrebbero anche essere interpretate come viticci legati
alla decorazione perduta che doveva circondare e coronare il volto
e che si deve immaginare fosse caratterizzata dalla presenza di una
palmetta polilobata nel coronamento oggi perduto. Il pezzo, il cui
contesto di provenienza è sconosciuto, va attribuito al gruppo delle
antefisse con palmetta di tradizione tardo ellenistica e della prima
età imperiale e può dunque essere inquadrato in un arco cronologico che va dal I secolo a.C. al I sec. d.C.30.
30
Per questo tipo di antefisse vedi ANSELMINO 1977; STRAZZULLA 1987, pp. 210-221;
PENSABENE-SANZI DI MINO 1983, pp. 136-195 e le corrispondenti tavole nel volume III, 2;
PENSABENE 1999, pp. 280-285.
L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO
233
Fig. 8
Tra i contenitori per lo stoccaggio e il trasporto delle derrate
alimentari si segnala un’anfora di tipo greco italico attualmente
conservata nella collezione della chiesa parrocchiale di S. Venanzo
ad Albacina (fig. 9). L’esemplare sembrerebbe ascrivibile al gruppo
MGS VI attribuibile al IV-III secolo a.C.31, e a quanto si può giudicare, poiché la sua collocazione ne permette solo una visione
parziale resa ancor più difficoltosa per la presenza di cemento su
una delle due anse, sembrerebbe privo di bollo.
Fig. 9
31
Cfr. VANDERMERSCH 1994, pp. 59-61, e pp. 81-82 con figura.
234
GIULIA BARATTA
Della collezione Censi Mancia fa invece parte un grande
dolium (h. 115 cm.; Ø max. 120 cm.; Ø min apertura 47; Ø max.
apertura 59) (fig. 10 a-b) realizzato con un impasto fine color rosaarancio con pochi inclusi bianchi. Sulla spalla, in asse con la parte
mancante dell’orlo, corre un graffito disposto su due righe, di non
facile lettura, in parte forse relativo ad una data come farebbe
supporre la presenza di una K:
XXX
X
Fig. 10a
X / XX IK
Fig. 10b
Tra le lucerne si segnalano alcune “Firmalampen”. Un esemplare, conservato, secondo quanto scritto a suo tempo da C. Ramelli in casa sua, reca il bollo MVRRI32. Probabilmente si tratta
dello stesso produttore attivo nell’Italia settentrionale sin dagli
albori del II secolo d.C. che trova attestazioni ad Aquileia33,
32
CIL XI, 6699, 136b; RAMELLI ms 1840 ove Ramelli scrive “MVRRI Epigrafe di
una lucerna plastica trovata in Fabriano, ed ora esistente in mia Casa, che ci ricorda l’altra
Sex. Murri. F. data dal Vermiglioli (Iscrizioni Perugine T. 2° p. 607. N° 30.) sull’autorità
del Ciotti (Perugia Romana, 227.) che dice di averla tratto dalla Raccolta antiquaria della
famiglia Meniconi”. Per questa lucerna vedi anche RAMELLI 1848, nr. 34; SASSI 1938, p.
69, nr. 70; PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 271;
33
BUCHI 1975, p. 122.
34
CIL V, 8114, 92; GUALANDI GENITO 1986 pp. 329-330, nr. 143.
L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO
235
Cervignano del Friuli e Trento34, nel territorio di Rimini35, in quello
di Arezzo, a Perugia, in una collezione privata36, ed a Roma37. C.
Ramelli ricorda anche un’altra lucerna rinvenuta nell’aprile del
1843 in un fondo di suo fratello, presso Torre Cecchino con il bollo
SEXTI38, da identificarsi molto probabilmente con un produttore
dell’Italia settentrionale attivo nel II secolo d.C., in particolare nella
prima metà39. Purtroppo non è possibile verificare se le quattro
lucerne (fig. 11-14) conservate nella collezione Raccamadoro Ramelli a Fabriano corrispondano, almeno in parte, a quelle a suo
tempo descritte da C. Ramelli dato che attualmente sono tutte
murate in uno degli ingressi del palazzo in modo tale da non poter
verificare la presenza di eventuali bolli sul loro fondo né eseguirne
una corretta autopsia. Effettivamente non è da escludere che gli
esemplari delle fig. 11 e 12, due lucerne a canale aperto con tre
borchiette sulla spalla liscia, disco ribassato con infundibulum
centrale e presa d’aria sul becco, del tipo Loeschcke X40 (l. 10 cm.),
e quello della fig. 13, della stessa tipologia ma con le spalle
decorate da trattini paralleli oltre che da tre borchie (l. 12 cm.)41,
siano proprio quelli con i bolli MVRRI o SEXTI, date le affinità con
altri esemplari di “Firmalampen” di queste due officine42. Purtroppo
35
CIL XI, 6699, 136 a.
CIL XI, 6699, 137 a-b.
37
CIL XV, 6566; GATTI 1906, p. 148.
38
RAMELLI ms 1840 “Una lucerna plastica, in cui è scritto al di sotto SEXTI,
impronta, che si legge in altre opere figulinarie, ed in altre marche metalliche secondo il
Guarini, e che trovasi precisamente in una lucerna plastica del pubblico gabinetto
archeologico di Perugia posta dal Vermiglioli al n. 20.della sua Classe 13a”.
39
BUCHI 1975, pp. 144-146; CĂTINAS˛ 1996, p. 66.
40
Lo stato di conservazione e la collocazione dei due reperti non consente una loro
corretta autopsia. Non è pertanto possibile definire correttamente il tipo di impasto che nel
primo caso appare più tendente al beige e nel secondo più scuro, quasi color mattone. Per
il tipo di lucerna vedi LOESCHCKE 1919, pp. 255-273, tav. I, X. In generale su queste
lucerne vedi anche; LARESE-SGREVIA 1996, pp. 251-254 con il punto sulla questione legata
all’inizio della produzione di questa tipologia; CECI 2005, pp. 311-324, in particolare p.
313.
41
Anche in questo caso non è possibile stabilire la natura dell’impasto che
sembrerebbe avere una colorazione rosastra.
42
Cfr. ad esempio per il bollo MVRRI, BUCHI 1975,p. 122, nr. 884; Per il bollo
SEXTI, LARESE-SGREVIA 1996, p. 277, nr. 545 e p. 311; CĂTINAS˛ 1996, p. 68, nr. 19;
36
˘˛
236
GIULIA BARATTA
però non è possibile andare oltre questa ipotesi e attribuire ciascun
bollo ad una concreta lucerna. La quarta lucerna, priva di ansa e a
becco tondo (fig. 14)43, corrisponde al tipo Loeschcke VIII44 (Ø 6
cm.) e va attribuita al I secolo d.C.
Fig. 11
Fig. 12
Fig. 14
Fig. 13
43
Nelle attuali condizioni di conservazione e collocazione l’impasto appare color
rosso mattone.
44
In generale sulla classe delle lucerne vedi CECI 2005, pp. 311-324, in particolare
p. 319, tav. 3, 8 per l’esemplare in questione. LOESCHCKE 1919, pp. 237-254, tav. I, VIII.
45
Per queste due lucerne vedi rispettivamente RAMELLI 1848, p. 30 e p. 19.
L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO
237
C. Ramelli, inoltre, fa menzione di una lucerna44 con genio
piangente e di una con decorazione caratterizzata da una croce in
rilievo, almeno quest’ultima conservata in casa sua, “che prova
invittamente esser servita ai Cristiani nelle loro sacre funzioni”45,
che non è stato possibile rintracciare.
Altre tre lucerne del tipo “Firmalampe”, ma non meglio descritte, sono inoltre segnalate nel 2005 da I. Venanzoni tra il
materiale sporadico affiorante in località Case Bisci ad Albacina46.
Numerose sono le segnalazioni in tutto il territorio corrispondente all’antico municipio di Tuficum di affioramenti di ceramica a
vernice nera47, comune, da mensa, terra sigillata italica ed africana48, di cui un frammento con scena di caccia al leone49, senza però
alcuna ulteriore indicazione che permetta di attribuire a questi
reperti un preciso ambito di produzione e di definirne dunque
l’esatta cronologia che comunque abbraccia un periodo che va
almeno dal IV secolo a.C. al IV secolo d.C. Solo di un pezzo di
terra sigillata viene indicato il bollo I.C. in planta pedis che non
trova però riscontro nei repertori50.
Come risulta evidente da queste poche pagine l’instrumentum
di Tuficum non costituisce allo stato attuale un materiale sufficiente
per contribuire in modo significativo allo studio dell’antico municipio. Il materiale, infatti, risulta troppo scarso e troppo eterogeneo
per un arco cronologico piuttosto ampio che va almeno, per tenersi
stretti, del IV secolo a.C. al IV secolo d.C.
L’esiguità dei dati non consente di tracciare sulla base dell’instrumentum una mappatura dei contatti tra Tuficum ed altri centri se
si eccettua la presenza dell’anfora greco romana, evidente indizio
di un collegamento commerciale con il meridione della penisola,
delle lucerne importate verosimilmente dall’Italia settentrionale e
46
47
48
49
50
VENANZONI 2005, p. 46.
VENANZONI 2004, p. 291.
VENANZONI 2005, pp. 39-40; 42-43.
PIGNOCCHI-SABBATINI 2001, pp. 234-235; VENANZONI 2005, p. 48.
RAMELLI 1848, p. 30.
238
GIULIA BARATTA
dei frammenti di sigillata africana.
Significativa è la presenza dell’antefissa la cui cronologia, a
cavallo tra l’età repubblicana e quella imperiale, ben coincide con
quella di alcune tegole bollate ed indica indubbiamente un certo
fermento edilizio nei primi decenni di vita del municipio.
L’elemento di maggiore forza, allo stato attuale, è certamente
costituito dalla serie di tegole bollate C. CAE. VERI che consente
di ipotizzare con un buon grado di probabilità la presenza di una
fornace nell’area del municipio, della quale però non sono state
trovate le tracce archeologiche, e dunque di un’importante realtà
produttiva in un periodo, il II secolo d.C., che, particolarmente
nella fase iniziale successiva alle guerre daciche, dovette essere per
Tuficum di notevole rilevanza economica e di riflesso edilizia, come
documentano anche alcune iscrizioni e l’attività di alcuni notabili
locali51.
Alla luce dei pochi dati disponibili non si può, dunque, che
auspicare uno scavo sistematico nel territorio dell’antico municipio
che consenta di leggerne il tessuto urbano e di recuperare in modo
scientifico e rigoroso, quelle suppellettili, comunemente definite
con il termine instrumentum in modo che possano fornire dati utili
per la ricostruzione di tutti gli aspetti della storia di Tuficum.
GIULIA BARATTA
51
volume.
Vedi a questo proposito il contributo di Marc Mayer i Olivé in questo stesso