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225 L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO Non è facile affrontare lo studio dell’instrumentum del territorio corrispondente all’antico municipium di Tuficum, non tanto per l’eterogeneità del materiale che comunemente va sotto questa denominazione quanto piuttosto per la mancanza di una raccolta corposa e sistematica, pubblica o privata, che possa consentire la visione e l’autopsia del materiale e restituire un quadro, anche se incompleto e sommario, di questi reperti e di tutti gli aspetti ad essi legati. Le maggiori collezioni con pezzi provenienti da Tuficum raccolgono infatti soprattutto materiale “monumentale”, cioè testimonianze scultoree, architettoniche ed epigrafiche dell’antico centro. I meno appariscenti e più fragili materiali laterizi, vitrei, così come quelli metallici sono scarsamente testimoniati e costituiscono, dunque, allo stato attuale, un patrimonio di non facile valutazione limitato a pochi pezzi che difficilmente possono illustrare in modo determinante i diversi aspetti dei più vari ambiti della vita di un abitato con una storia lunga e significativa come quella di Tuficum. I materiali più rappresentativi dell’instrumentum tuficano sono costituiti attualmente dalle tegole bollate. Il territorio dell’antico municipio ha restituito, come si desume dagli appunti di Don Raffaele Ambrosini, dalla pubblicazione di Romualdo Sassi e dalla ricognizione di Eugen Bormann per la redazione del Corpus Inscriptionum Latinarum XI, almeno sette diversi marchi di fabbrica: C(ai) Caes(i) Veri1; Honorati2, Sertorius3, M. Obici sive Obico4, M(arci) Naevidi5, 1 Vedi infra [p. 228, nota] pp. 226 ss. Vedi infra [p. 229, nota] pp. 229 ss. 3 Vedi infra [p. 230, nota] pp. 230 ss. 4 Il pezzo un tempo era collocato, insieme ad altro materiale archeologico nel portico della chiesa di San Venanzo ad Albacina, vd. CIL XI, 6689, 167; AMBROSINI 1876, p. 40; SASSI 1938, p. 69, nr. 67; INNOCENZI 2004, p. 241 e p. 243; AE 2004, 535; PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 270. 5 Il pezzo si conservava nella casa Baldoni nel vocabolo Trocchetti di Albacina, vd. 2 226 GIULIA BARATTA M(arci) Oppi Satr()6 e Primitivi7. Purtroppo, allo stato attuale, è stato possibile rintracciare soltanto alcune tegole con i primi due bolli, mentre i pezzi con gli altri marchi di fabbrica non risultano oggi più localizzabili. La perdita e la dispersione di buona parte del patrimonio laterizio bollato rinvenuto a Tuficum risulta già evidente nel XIX secolo. Infatti Camillo Ramelli8 nel 1840 annota in un suo manoscritto: “Nell’antico Tufico molte embrici, o tegole si trovarono in più luoghi, a varie epoche, e con diverse epigrafi; ma l’ignoranza tutte le disperse. Un mattone però esiste tuttora”. Da una nota manoscritta di R. Ambrosini, accuratamente pubblicata da L. Innocenzi, si apprende che il 2 giugno 1845 il parroco della chiesa di S. Venanzo ad Albacina fece murare nella “loggia di questa chiesa parrocchiale” oltre ad una tegola con il bollo C. CAE. VER9 anche una con il marchio HONORATI e successivamente, nel 1856, vi fece collocare una terza tegola con un marchio “logoro” M. OBICIO. La tegola che presenta il maggior numero di attestazioni è proprio quella con il bollo C. CAE. VERI, alcuni esemplari della quale sono repertoriati nel CIL XI al numero 6689, 52 ed erano già stati segnalati da C. Ramelli10. Il CIL oltre all’esemplare perduto un tempo murato nella chiesa di S. Venanzo11, fa riferimento ad uno Fabriani in aedibus Ramelli12 e ad uno conservato ad Albacina CIL XI, 6689, 163; RAMELLI 1848, nr. 36; SASSI 1938, p. 68, nr. 64; PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 270. 6 La tegola si trovava un tempo presso il canonico Zampetti a Fabriano e risulta attualmente dispersa, vd. CIL XI 6689, 170ª; RAMELLI 1848, p. 31, nr. 38; SASSI 1938, p. 69, nr. 68; PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 270. Probabilmente la lettura tramandata del bollo non è corretta e si deve intendere M. OPPI SATVRNINI, vd. CIL IX, 6078, 124. 7 La tegola secondo R. Sassi era conservata presso il canonico Zampetti a Fabriano, vd. CIL XI, 6689, 6689, 194; RAMELLI ms. 1840 che documenta una tegola o embrice con questo bollo rinvenuta nel fondo del fratello Luigi sito presso Torre Cecchino RAMELLI 1848, nr. 37; SASSI 1938, p. 69 nr. 71. 8 RAMELLI ms 1840. 9 Vedi infra note 10 ss. 10 RAMELLI 1848, nr. 33. 11 Vedi CIL XI, 6689, 52 a; INNOCENZI 2004, pp. 214-249; SASSI 1938, p. 68, LXV e AE 2004, 535 12 Vedi CIL XI, 6689, 52 a; SASSI 1938, pp. 68-69, nr. LXV; PETRACCIA 2006c; AE 2006, 243; PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 270. L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO 227 nella villa Serafini, ora Censi Mancia13, e che, verosimilmente, corrisponde a quello oggi inserito nella collezione affissa alla parete della casa colonica della nobile dimora (fig. 1). Due altri esemplari, invece, sono stati ritrovati a Matelica14 ed uno, più di recente, nel settembre 2001, in un terreno lungo la statale Clementina presso Borgo Tufico in località Case Lunghe15. Fig. 1 Nella collezione archeologica di Villa Censi Mancia oltre alla tegola segnalata in CIL XI ne esiste anche un’altra (fig. 2a-b) della quale si disconosce il luogo e la data di rinvenimento e che potrebbe anche coincidere con quella una volta murata nella vicina chiesa di S. Venanzo e che oggi si ritiene perduta, o, come invece appare più probabile, essere un differente e dunque ulteriore esemplare della stessa serie. Entrambe le tegole della collezione Censi Mancia sono realizzate con un impasto color arancio a grana fine con pochi inclusi bianchi. L’esemplare conservato nella raccolta affissa al muro della casa colonica (fig. 1), privo solo di porzioni 13 Vedi CIL XI, 6689, 52 b e p. 1402. Vedi la tesi di laurea di C. MORI a.a. 2002-2003, Università di Macerata. 15 BRANCHESI 2003, pp. 271-274. L’autrice segnala a p. 272 che dal territorio del municipio di Tuficum provengono altre due tegole di questa serie senza che sia possibile dedurre con certezza se si riferisca ad esemplari già noti o a materiale inedito da aggiungere dunque alla lista. 14 228 GIULIA BARATTA del bordo misura 45x60x4 cm. (7 con bordo)16 mentre l’altro (fig. 2a), collocato nel 2011, al momento dell’autopsia, all’interno della villa, risulta privo delle due estremità e misura 45x35x4 cm. (7 cm. con i bordi). Entrambe le tegole sono bollate con il marchio C. CAE. VERI, per il quale si propone lo scioglimento C(ai) Cae(si) Veri17, di forma semicircolare con orbicolo inserito (Ø7,5 cm.) e testo (h. lettere 1,5-1,7 cm.) disposto su una sola linea caratterizzato da lettere a nastro con apicature, I longa montante, come giustamente notato da E. Bormann18, e segni di interpunzione triangolari, preceduto e seguito da una palmetta. Fig. 2a Fig. 2b Il gentilizio Caesius19 ricorre spesso nel territorio tuficano20, tanto che il frequente rinvenimento di queste tegole nella stessa area corrispondente all’antico municipio costituisce un importante indizio che consente di ipotizzare la presenza di una figlina legata a questa importante gens proprio a Tuficum. La sua produzione, che 16 Vedi GAMURRINI 1893, pp. 134-137, part. 137. Ver( ), CIL XI; Ver(ecundus), SASSI 1938; Ver(us?-ecundus?), PETRACCIA 2006: la CERVETTI non riconosce il nesso VE ed RI. 18 CIL XI, p. 1402. 19 Per le attestazioni epigrafiche di questa gens sia nel municipium di Tuficum che fuori vedi il contributo di Marc Mayer i Olivé in questa stessa sede oltre a CATANI 1981, pp. 126-128 e pp. 131-132; CENERINI 1985, pp. 203-232, MARENGO 1994, pp. 20 e 22; ANDERMAHR 1998, pp. 196-197. 20 In una iscrizione di Beyobasi è nominato un personaggio, che non coincide con il nostro, ma che presenta lo stesso gentilizio e lo stesso cognomen ma un diverso praenomen e una differente tribù: M(arcus) Caesius M(arci) f(ilius) Pol(lia tribu) Verus, vedi MITFORD 1988, p. 39-42 e AE 1990, 896. 17 L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO 229 sulla base delle caratteristiche del bollo, della paleografia e per l’appartenenza del produttore alla gens Caesia, va inquadrata nel II secolo d.C., sembra coprisse non solo il fabbisogno locale ma anche quello dei municipia circostanti, come dimostrano le due tegole ritrovate a Matelica. Due o forse tre attestazioni conta, invece, la tegola con il bollo HONORATI. Sono infatti noti l’esemplare un tempo affisso nella chiesa di S. Venanzo ad Albacina, ed oggi perduto21, una tegola usata in una tomba a cappuccina rinvenuta nel 184322, che potrebbe, ma non è detto che sia così, coincidere con la tegola perduta, ed un ulteriore esemplare che si conserva nella collezione archeologica di Palazzo Raccamadoro-Ramelli a Fabriano (fig. 3a-b)23. Quest’ultima tegola, di impasto rosso-arancio a grana fine con pochi inclusi, è frammentaria e misura allo stato attuale 42x36 cm. Il bollo HONORATI è inserito in un cartiglio rettangolare con angoli smussati (8,2x2 cm.)24. Il testo disposto su una sola linea è in rilievo e presenta una N retrograda ed una I montante sull’ultima lettera cui fa seguito un segno decorativo (h. lettere 1,5 cm.). L’onomastica non consente alcun aggancio certo con il municipio di Tuficum, dove Honoratus non trova sino ad ora altre attestazioni che possano indurre a ritenere che anche in questo caso si tratti di un prodotto di una figlina locale. Per la forma del bollo il pezzo può essere inquadrato cronologicamente tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. 21 CIL XI, 6689, 122a; RAMELLI 1848, nr. 35; AMBROSINI 1876, p. 40 secondo il quale la tegola proverrebbe da una fossa di calce spenta in località Moregine; SASSI 1938, p. 69, nr. LXVI; INNOCENZI 2004, p. 241 e p. 243; AE 2004, 535. 22 RAMELLI 1848, p. 21 che la data al VI secolo d.C.; VENANZONI 2005, p. 44, nota 55. 23 PETRACCIA 2006; AE 2006, 243; PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 270. Come si deduce dal titolo dato alla scheda C. Cervetti identifica questo esemplare con quello fatto collocare da R. Ambrosini nel muro della chiesa di S. Venanzo poi pubblicato da E. Bormann in CIL XI, 6689, 122 a. In realtà, come aveva già notato L. Innocenzi, vedi INNOCENZI 2004, p. 243 e nota 14, nello studio dedicato alle annotazioni di R. Ambrosini, si tratta di due distinti esemplari con lo stesso bollo. 24 HONORATV, SASSI 1938; HONORATI VI, INNOCENZI 2004; Honoratv[, VENANZONI 2005; Honoratus, CERVETTI 2006. 230 GIULIA BARATTA Un terzo pezzo ritenuto da R. Sassi una tegola proveniente dall’area corrispondente all’antico municipio di Tuficum ed oggi conservato a Fabriano nella collezione archeologica di palazzo Raccamadoro Ramelli (fig. 4)25, sembra piuttosto essere un frammento di dolium. La natura dell’impasto, infatti, ed il profilo bombato del frammento di terracotta Fig. 3b (31x17 cm.) non sembrano compatibili con una tegola quanto piuttosto Fig. 3a con un contenitore per le derrate. Il pezzo si caratterizza per la presenza del bollo SERTORIVS (h. lettere 2,5-2,2 cm.) che corre in rilievo, distribuito su una sola linea, all’interno di un cartiglio rettangolare (14x3 cm.) e che su base paleografica, in particolare per la forma della O e della R, può essere inquadrato al I secolo a.C.26. Tra il materiale laterizio destinato all’edilizia nella collezione di Villa Censi Mancia ad Albacina si segnalano, inoltre, mattoni circolari per la realizzazioni di suspensurae (fig. 5), tegole con ditate (fig. 6) e tegole mammate (fig. 7). Altro materiale edile, tra cui mattoncini circolari, è stato localizzato a Borgo Tufico, in 25 CIL XI, 6689, 227; SASSI 1938, p. 69, nr. 49 (errore per 69); PETRACCIA 2006: la CERVETTI attribuisce il reperto genericamente al territorio fabrianese; AE 2006, 243; PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 270. 26 Una tegola del veronese reca un bollo con lo stesso nome: CIL V, 8110, 334. L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO 231 Fig. 4 località Case Bisci27, ad Albacina, in località Case Lunghe28, ove appaiono delle tegole, e a Cerreto d’Esi in località casale Vallemoro e Monterustico29. Fig. 5 27 28 29 VENANZONI 2004, p. 291 e VENANZONI 2005, p. 46. VENANZONI 2005, p. 46. VENANZONI 2005, pp. 39-40. 232 Fig. 6 GIULIA BARATTA Fig. 7 Tra i reperti della collezione Censi Mancia spicca un’antefissa con gorgone. Il pezzo (fig. 8) (H. 20 cm.; larg. 25 cm.) di impasto a grana estremamente fine e colore tendente all’arancio chiaro, è mancante della parte superiore e della struttura posteriore e presenta diverse scheggiature sulla superficie. L’antefissa è delimitata nella parte inferiore da una fascia liscia seguita da un listello sporgente sul quale corre un secondo listello di minore larghezza che funge da base di appoggio ad un volto di Gorgone largo, piatto e sorridente. Il naso e le arcate sopraccigliari sono fortemente marcati così come le palpebre superiori e i bulbi oculari. Dai lati delle orecchie pendono due vistosi orecchini. Della capigliatura, perduta nella parte superiore, rimangono apparentemente alcune ciocche serpentiformi avvolte a spirale alla loro estremità che, in alternativa, potrebbero anche essere interpretate come viticci legati alla decorazione perduta che doveva circondare e coronare il volto e che si deve immaginare fosse caratterizzata dalla presenza di una palmetta polilobata nel coronamento oggi perduto. Il pezzo, il cui contesto di provenienza è sconosciuto, va attribuito al gruppo delle antefisse con palmetta di tradizione tardo ellenistica e della prima età imperiale e può dunque essere inquadrato in un arco cronologico che va dal I secolo a.C. al I sec. d.C.30. 30 Per questo tipo di antefisse vedi ANSELMINO 1977; STRAZZULLA 1987, pp. 210-221; PENSABENE-SANZI DI MINO 1983, pp. 136-195 e le corrispondenti tavole nel volume III, 2; PENSABENE 1999, pp. 280-285. L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO 233 Fig. 8 Tra i contenitori per lo stoccaggio e il trasporto delle derrate alimentari si segnala un’anfora di tipo greco italico attualmente conservata nella collezione della chiesa parrocchiale di S. Venanzo ad Albacina (fig. 9). L’esemplare sembrerebbe ascrivibile al gruppo MGS VI attribuibile al IV-III secolo a.C.31, e a quanto si può giudicare, poiché la sua collocazione ne permette solo una visione parziale resa ancor più difficoltosa per la presenza di cemento su una delle due anse, sembrerebbe privo di bollo. Fig. 9 31 Cfr. VANDERMERSCH 1994, pp. 59-61, e pp. 81-82 con figura. 234 GIULIA BARATTA Della collezione Censi Mancia fa invece parte un grande dolium (h. 115 cm.; Ø max. 120 cm.; Ø min apertura 47; Ø max. apertura 59) (fig. 10 a-b) realizzato con un impasto fine color rosaarancio con pochi inclusi bianchi. Sulla spalla, in asse con la parte mancante dell’orlo, corre un graffito disposto su due righe, di non facile lettura, in parte forse relativo ad una data come farebbe supporre la presenza di una K: XXX X Fig. 10a X / XX IK Fig. 10b Tra le lucerne si segnalano alcune “Firmalampen”. Un esemplare, conservato, secondo quanto scritto a suo tempo da C. Ramelli in casa sua, reca il bollo MVRRI32. Probabilmente si tratta dello stesso produttore attivo nell’Italia settentrionale sin dagli albori del II secolo d.C. che trova attestazioni ad Aquileia33, 32 CIL XI, 6699, 136b; RAMELLI ms 1840 ove Ramelli scrive “MVRRI Epigrafe di una lucerna plastica trovata in Fabriano, ed ora esistente in mia Casa, che ci ricorda l’altra Sex. Murri. F. data dal Vermiglioli (Iscrizioni Perugine T. 2° p. 607. N° 30.) sull’autorità del Ciotti (Perugia Romana, 227.) che dice di averla tratto dalla Raccolta antiquaria della famiglia Meniconi”. Per questa lucerna vedi anche RAMELLI 1848, nr. 34; SASSI 1938, p. 69, nr. 70; PETRACCIA-TRAMUNTO 2011, p. 271; 33 BUCHI 1975, p. 122. 34 CIL V, 8114, 92; GUALANDI GENITO 1986 pp. 329-330, nr. 143. L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO 235 Cervignano del Friuli e Trento34, nel territorio di Rimini35, in quello di Arezzo, a Perugia, in una collezione privata36, ed a Roma37. C. Ramelli ricorda anche un’altra lucerna rinvenuta nell’aprile del 1843 in un fondo di suo fratello, presso Torre Cecchino con il bollo SEXTI38, da identificarsi molto probabilmente con un produttore dell’Italia settentrionale attivo nel II secolo d.C., in particolare nella prima metà39. Purtroppo non è possibile verificare se le quattro lucerne (fig. 11-14) conservate nella collezione Raccamadoro Ramelli a Fabriano corrispondano, almeno in parte, a quelle a suo tempo descritte da C. Ramelli dato che attualmente sono tutte murate in uno degli ingressi del palazzo in modo tale da non poter verificare la presenza di eventuali bolli sul loro fondo né eseguirne una corretta autopsia. Effettivamente non è da escludere che gli esemplari delle fig. 11 e 12, due lucerne a canale aperto con tre borchiette sulla spalla liscia, disco ribassato con infundibulum centrale e presa d’aria sul becco, del tipo Loeschcke X40 (l. 10 cm.), e quello della fig. 13, della stessa tipologia ma con le spalle decorate da trattini paralleli oltre che da tre borchie (l. 12 cm.)41, siano proprio quelli con i bolli MVRRI o SEXTI, date le affinità con altri esemplari di “Firmalampen” di queste due officine42. Purtroppo 35 CIL XI, 6699, 136 a. CIL XI, 6699, 137 a-b. 37 CIL XV, 6566; GATTI 1906, p. 148. 38 RAMELLI ms 1840 “Una lucerna plastica, in cui è scritto al di sotto SEXTI, impronta, che si legge in altre opere figulinarie, ed in altre marche metalliche secondo il Guarini, e che trovasi precisamente in una lucerna plastica del pubblico gabinetto archeologico di Perugia posta dal Vermiglioli al n. 20.della sua Classe 13a”. 39 BUCHI 1975, pp. 144-146; CĂTINAS˛ 1996, p. 66. 40 Lo stato di conservazione e la collocazione dei due reperti non consente una loro corretta autopsia. Non è pertanto possibile definire correttamente il tipo di impasto che nel primo caso appare più tendente al beige e nel secondo più scuro, quasi color mattone. Per il tipo di lucerna vedi LOESCHCKE 1919, pp. 255-273, tav. I, X. In generale su queste lucerne vedi anche; LARESE-SGREVIA 1996, pp. 251-254 con il punto sulla questione legata all’inizio della produzione di questa tipologia; CECI 2005, pp. 311-324, in particolare p. 313. 41 Anche in questo caso non è possibile stabilire la natura dell’impasto che sembrerebbe avere una colorazione rosastra. 42 Cfr. ad esempio per il bollo MVRRI, BUCHI 1975,p. 122, nr. 884; Per il bollo SEXTI, LARESE-SGREVIA 1996, p. 277, nr. 545 e p. 311; CĂTINAS˛ 1996, p. 68, nr. 19; 36 ˘˛ 236 GIULIA BARATTA però non è possibile andare oltre questa ipotesi e attribuire ciascun bollo ad una concreta lucerna. La quarta lucerna, priva di ansa e a becco tondo (fig. 14)43, corrisponde al tipo Loeschcke VIII44 (Ø 6 cm.) e va attribuita al I secolo d.C. Fig. 11 Fig. 12 Fig. 14 Fig. 13 43 Nelle attuali condizioni di conservazione e collocazione l’impasto appare color rosso mattone. 44 In generale sulla classe delle lucerne vedi CECI 2005, pp. 311-324, in particolare p. 319, tav. 3, 8 per l’esemplare in questione. LOESCHCKE 1919, pp. 237-254, tav. I, VIII. 45 Per queste due lucerne vedi rispettivamente RAMELLI 1848, p. 30 e p. 19. L’INSTRVMENTVM DI TVFICVM: UN PRIMO APPROCCIO 237 C. Ramelli, inoltre, fa menzione di una lucerna44 con genio piangente e di una con decorazione caratterizzata da una croce in rilievo, almeno quest’ultima conservata in casa sua, “che prova invittamente esser servita ai Cristiani nelle loro sacre funzioni”45, che non è stato possibile rintracciare. Altre tre lucerne del tipo “Firmalampe”, ma non meglio descritte, sono inoltre segnalate nel 2005 da I. Venanzoni tra il materiale sporadico affiorante in località Case Bisci ad Albacina46. Numerose sono le segnalazioni in tutto il territorio corrispondente all’antico municipio di Tuficum di affioramenti di ceramica a vernice nera47, comune, da mensa, terra sigillata italica ed africana48, di cui un frammento con scena di caccia al leone49, senza però alcuna ulteriore indicazione che permetta di attribuire a questi reperti un preciso ambito di produzione e di definirne dunque l’esatta cronologia che comunque abbraccia un periodo che va almeno dal IV secolo a.C. al IV secolo d.C. Solo di un pezzo di terra sigillata viene indicato il bollo I.C. in planta pedis che non trova però riscontro nei repertori50. Come risulta evidente da queste poche pagine l’instrumentum di Tuficum non costituisce allo stato attuale un materiale sufficiente per contribuire in modo significativo allo studio dell’antico municipio. Il materiale, infatti, risulta troppo scarso e troppo eterogeneo per un arco cronologico piuttosto ampio che va almeno, per tenersi stretti, del IV secolo a.C. al IV secolo d.C. L’esiguità dei dati non consente di tracciare sulla base dell’instrumentum una mappatura dei contatti tra Tuficum ed altri centri se si eccettua la presenza dell’anfora greco romana, evidente indizio di un collegamento commerciale con il meridione della penisola, delle lucerne importate verosimilmente dall’Italia settentrionale e 46 47 48 49 50 VENANZONI 2005, p. 46. VENANZONI 2004, p. 291. VENANZONI 2005, pp. 39-40; 42-43. PIGNOCCHI-SABBATINI 2001, pp. 234-235; VENANZONI 2005, p. 48. RAMELLI 1848, p. 30. 238 GIULIA BARATTA dei frammenti di sigillata africana. Significativa è la presenza dell’antefissa la cui cronologia, a cavallo tra l’età repubblicana e quella imperiale, ben coincide con quella di alcune tegole bollate ed indica indubbiamente un certo fermento edilizio nei primi decenni di vita del municipio. L’elemento di maggiore forza, allo stato attuale, è certamente costituito dalla serie di tegole bollate C. CAE. VERI che consente di ipotizzare con un buon grado di probabilità la presenza di una fornace nell’area del municipio, della quale però non sono state trovate le tracce archeologiche, e dunque di un’importante realtà produttiva in un periodo, il II secolo d.C., che, particolarmente nella fase iniziale successiva alle guerre daciche, dovette essere per Tuficum di notevole rilevanza economica e di riflesso edilizia, come documentano anche alcune iscrizioni e l’attività di alcuni notabili locali51. Alla luce dei pochi dati disponibili non si può, dunque, che auspicare uno scavo sistematico nel territorio dell’antico municipio che consenta di leggerne il tessuto urbano e di recuperare in modo scientifico e rigoroso, quelle suppellettili, comunemente definite con il termine instrumentum in modo che possano fornire dati utili per la ricostruzione di tutti gli aspetti della storia di Tuficum. GIULIA BARATTA 51 volume. Vedi a questo proposito il contributo di Marc Mayer i Olivé in questo stesso